Prima di cominciare questo percorso di condivisione, mi sembra opportuno sgombrare il campo da supposizioni, nozioni e fissazioni infelici che tuttora circolano a proposito di cosa sia il femminismo.
Partiamo col botto: femminismo non vuol dire “odiare gli uomini”. Sorpresona, eh?
Le persone femministe non odiano i maschi, odiano la cultura maschilista, razzista, sessista e patriarcale nella quale siamo immersi.
Non vogliono che i maschi si estinguano, non vogliono rubare il loro potere (inserire qui immagine di me che alzo gli occhi al cielo), non vogliono ridurli in schiavitù e privarli dei diritti.
Insomma, non vogliono fare agli uomini nessuna delle cose che sono state fatte alle donne – e non solo – per millenni.
Avrete notato che ho scritto “persone femministe” e non “femministe” e basta. Questo perché – e tenetevi forte, è un’altra sorpresona – ogni persona, indipendentemente dal proprio sesso e/o genere e/o orientamento, può essere femminista. BAM BAM!
Essere femminista significa credere che tutti gli esseri umani (a partire dalle donne, le quali – ulteriore sorpresa – sono esseri umani) debbano avere gli stessi diritti e le stesse libertà di pensiero e azione, per quanto sciocchi, illusi, malvestiti, grassi, magri, pigri, calvi, brutti belli abili non abili maschi femmine né maschi né femmine essi siano. (Quindi significa anche lavorare affinché gli uomini possano uscire da quella “gabbia piccola e rigida” fatta di aggressività, distacco dalle emozioni e virilità conformista in cui la cultura contemporanea ancora li costringe.)
Nelle parole di Marcia Tiburi,1
Il femminismo ci porta alla lotta per i diritti di tutte, tuttə2 e tutti. Tutte perché chi porta avanti questa lotta sono le donne. Tuttə perché il femminismo ha liberato gli individui dall’identificarsi solamente come donne o uomini e ha aperto uno spazio per altre espressioni di genere – e di sessualità […]. Tutti perché è una lotta per una certa idea di umanità e, proprio per questo, considera che tutte quelle persone definite come ‘uomini’ debbano a loro volta essere incluse in un processo autenticamente democratico, evento che il mondo maschilista – che ha attribuito agli uomini i privilegi ma li ha abbandonati a una profonda miseria mentale – non ha mai davvero voluto portare a compimento.3
Questa citazione ci permette di introdurre al volo un’altra nozione ommioddio: femminismo NON È il contrario di maschilismo.
‘Maschilismo’, sostantivo nato ricalcando la forma di ‘femminismo’, indica la convinzione che l’uomo sia superiore alla donna.
‘Femminismo’, invece, non solo non ha a che fare con la presunta superiorità della donna rispetto all’uomo, ma è una parola che porta con sé la lunga storia di un movimento, con le sue molte battaglie e altrettante conquiste.
Sostituire femminismo con un termine più ‘inclusivo’ significherebbe, come spiega Giulia Blasi nel suo Manuale per ragazze rivoluzionarie, “l’annientamento, insieme al termine, di secoli di storia del pensiero, di lotte, di rivolte, di proteste, di collettivi, di autocoscienza. Nonché dell’esistenza stessa delle donne e della femminilità come costrutto culturale, che ancora una volta deve passare in secondo piano, essere delegittimata, anziché valorizzata ed estesa a chiunque voglia adottarne i tratti. Se la parola ‘femminista’ scompare, è più facile che gli uomini rivendichino ancora una volta la testa della lotta, cambiandone le regole e i principi e decidendo come va fatta”.
Riassumendo, quindi: il femminismo non è donne contro uomini; non è un desiderio di ribaltare i rapporti di potere semplicemente cambiando l’identità di chi subisce; non è il tentativo di strappare agli uomini la loro identità o di obbligarli a depilarsi le sopracciglia e portare la gonna (qui immaginate un altro eye rolling). (Non è neanche una serie di altre cose, più serie, di cui ci occuperemo.)
Citando ancora Tiburi, il femminismo è invece:
[…] il desiderio di una democrazia radicale rivolta alla lotta per i diritti di chi subisce ingiustizie sistematicamente disposte dal patriarcato.4
Chi subisce ingiustizie, alias le donne ma non soltanto le donne (da cui il concetto fondamentale di intersezionalità, e anche su questo torneremo. Oooh, se ci torneremo).
Non un ideale astratto, non il propagandismo “simpaticone, fatto di slogan, pugnetti alzati e Rosie the Riveter con il bicipite in mostra”5.
Il femminismo è una pratica, come la filosofia, ed è una pratica scomoda perché tocca dove fa più male, nella tenera carne dei privilegi e dei pregiudizi. Pretende risposte e cambiamenti. Non rassicura ma crea dubbi, non conforta ma genera rabbia.
Allora, vi chiederete, perché essere femministe / femministi? In questo posso rispondere solo per me, ma non credo di essere l’unica a pensarlo: perché non se ne può fare a meno.